8 settembre 2025

 

QUALCHE RIGA PER COMINCIARE

Manuela Poggiato

 

Qualche giorno fa ne ho visto uno. Non è stato come sentirne parlare alla radio o in rete o vederli in televisione sui barconi avvolti nelle dorate coperte termiche. Quelle sono spesso immagini di repertorio. Era seduto vicino a me, al mio stesso tavolo. Anzi era seduta perché era una ragazza, giovane, giovanissima. Una ragazzina che aveva appena attraversato il Mediterraneo su un barcone per giungere in Italia. Non sono riuscita a guardarla in faccia.

 

Come medico volontario del centro di aiuto quel giorno dovevo solo prescriverle un farmaco, potevo non interessarmi affatto a lei che durante quella traversata era stata picchiata, anche. Così aveva detto l’infermiera che se ne era occupata e aveva già svolto tutto il necessario. Ugualmente quei pochi secondi, il tempo di prendere il ricettario, scrivere a mano una parola e firmare, erano stati eterni.

 

Era la prima volta che mi capitava una situazione del genere in trentacinque anni di attività. Chi arriva in ospedale specie di notte ha veramente bisogno e come medico cercavo di pensare a come doveva sentirsi la persona che mi stava di fronte, che doveva necessariamente raccontare intimità di sé, spogliarsi, mostrarsi a me, estranea. Ma quel giorno è stato diverso, diverso rispetto a vedere corpi chiusi in salvagenti rossi, sballottati dalle onde, coperti da un lenzuolo. Per fortuna, la ragazza non capiva una parola di italiano, almeno così voleva far credere.

 

Senza riuscire a immaginarlo pensavo a come ci si possa sentire nel decidere, attendere, salire su quei gusci di noce lasciando la propria vita, pur tragica, nella speranza di poterne iniziare un’altra migliore al di là dell’infinito blu senza sapere che chi di dovere ha già deciso di non soccorrere, di fermare le navi che salvano, inviare al porto più lontano possibile, lasciare giorni senza acqua.

 

Chissà che rumore fa, non potevo, non volevo immaginare, che odore emana, che fastidio intollerabile può dare un corpo che ti si muove addosso con violenza. Invece lì, in quel momento, fra lei e me c’era silenzio, nessun rumore, nessun odore, il tavolo e la sedia erano alla giusta lontananza, tanto da evitare ogni possibile contatto. Che orrore le passava dentro. Ma lo sguardo, le immagini mi sono rimaste in testa. Le ho ancora davanti. I miei ricordi visivi non se ne vogliono andare. Nulla in confronto ai suoi: coinvolta attraverso pelle, occhi, orecchie, naso, pancia, anima, tutti i suoi sensi possibili, lei da quella barca non è mai scesa, non scenderà mai.