16 dicembre 2024
QUALCHE RIGA PER COMINCIARE
Ugo Basso
Sono fra coloro che ritengono opportuno separare il Natale del dio quattrino da quello del dio trino: lasciamo il primo il 25 dicembre e spostiamo il secondo, per esempio, al 6 gennaio: comunque sono date convenzionali. Basta guardarsi attorno, per strada, dalle finestre di casa, negli spot dell’onnipresente propaganda, per accorgersi che del Natale non si ignora il nome – Natale quando viene, viene –, ma se ne ignora l’origine, del resto richiamata solo dai presepi, spesso diventati bandiera politica di chi peraltro ne ignora il senso. Anche in piazza San Pietro comunque svetta un ecumenico abete di 29 metri (circa un edificio di nove piani) sottratto ai boschi della val di Ledro chissà se in disprezzo delle regole di conservazione, o, come si dice, per le necessità dell’avvicendamento biologico nel bosco.
Confesso che tutto questo – e molto altro di stagione – mi crea tristezza, pur fra jingles e luminarie, eppure amo le feste, un po’ lo zucchero nel quotidiano: le feste a tavola, con bei cibi e senza sprechi, l’incontro con persone, a partire dai parenti, che magari si frequentano poco, gli auguri occasione per un saluto a chi magari si è perso di vista, i regali magari per coronare un sogno sempre rinviato, non certo per qualche dovere condannato al riciclo o a ingombri di cui cercare di sbarazzarsi senza offendere.
Il momento storico è difficile, qualcuno dice apocalittico: le guerre sempre più sanguinose e incombenti (le diverse propagande le chiamino o no genocidio), le grandi speranze internazionali, Nazioni Unite e Europa sempre più afone, l’Italia che si sfila ogni giorno dalla costituzione fra la volgarità e l’ignoranza dei governanti. E gli Stati Uniti, invadente e non innocente modello di democrazia hanno tragicamente scelto il negatore programmatico della democrazia esaltatore della ricchezza e dell’affermazione individuale: capace di portare pace? Certo lo speriamo, senza dimenticare che anche Hitler aveva dato garanzie di pace alla conferenza di Monaco (29-30 settembre 1938), primo passo verso la guerra mondiale con i suoi settanta milioni di morti.
Chiusa la lunga campagna elettorale con la vittoria, forse meno schiacciante di quanto la propaganda abbia convinto il mondo, vorrei proporre un confronto: pare più augurante e natalizio lo slogan che ha portato Trump alla Casa bianca – Make America Great Again, MAGA, imponiamoci sugli altri) – o il Hope is making a comeback (La speranza sta facendo ritorno), purtroppo finita solo sulle magliette della propaganda della dimenticata e forse inadeguata Kamala Harris? La gente, gli americani forse non diversamente dagli altri, vuole dominare o provare a sperare?
Forse oggi come duemila anni fa la gente vuole vincere, indifferente ai costi di sangue: tranne quel piccolo gruppo che ha saputo seguire una stella e cercare una luce improbabile con l’illusione che una nuova umanità di giustizia e di pace, di attenzione agli altri fosse imminente. Comunque Natale significa che è possibile vivere con passione, rispetto e speranza anche in questo mondo in cui, come scrive Ezio Mauro sulla Repubblica del 24 novembre, sono state tolte le sicure alle bombe atomiche.
Di seguito, il testo del padre Pedro cerca di dirci queste cose, guardando il presepio. È il nostro augurio…